Artemis I rientra a terra

È terminata con successo la missione Nasa Artemis I, con la capsula Orion caduta nell’Oceano Pacifico al largo delle coste della Bassa California in rientro controllato alle 18:40 (ora italiana) domenica 11 dicembre.
La missione Artemis I è durata poco più di 25 giorni: era infatti partita mercoledì 16 novembre alle 7:47, ora italiana, dalla storica piattaforma di lancio 39B del Kennedy Space Center, in Florida.

Dopo un viaggio di oltre 2 milioni di chilometri, Artemis I rientra a terra esattamente 50 anni dopo l’ultimo allunaggio umano con Apollo 17, l’11 dicembre 1972.

La navicella spaziale Orion della Nasa per la missione Artemis I è stata recuperata con successo all’interno del pozzo della Uss Portland l’11 dicembre 2022 al largo della costa della Bassa California. Dopo il lancio in cima al razzo Space Launch System il 16 novembre 2022 dal Kennedy Space Center dell’agenzia in Florida, Orion ha trascorso 25,5 giorni nello spazio prima di tornare sulla Terra, completando la missione Artemis I.
Foto e didascalia: Nasa.

Obiettivi del Programma Artemis

Col programma Artemis, la Nasa intende riportare gli astronauti sulla Luna, in particolare la prima donna e la prima persona di colore, dopo le prime e – finora – uniche passeggiate lunari avvenute col Programma Apollo tra il 1969 e il 1972.
Le prime tre fasi corrispondono ad altrettante missioni, che progressivamente avvicineranno la Nasa e in generale gli esseri umani all’obiettivo lunare.

Artemis I è una missione senza equipaggio umano. Il suo obiettivo principale è testare in maniera approfondita strumenti, sistemi e operazioni prima delle missioni con equipaggio umano. Ha permesso di valutare il funzionamento del veicolo spaziale nello spazio profondo, di testare lo scudo termico di Orion e le manovre di rientro e recupero.

Artemis II eseguirà una missione molto simile ad Artemis I, orbitando attorno alla Luna senza allunare, ma avrà a bordo un equipaggio umano.

Finalmente, se tutto va come previsto, Artemis III porterà l’equipaggio che potrà di nuovo rimettere piede sulla Luna, si stima nel 2025.

Com’è andata la missione Artemis I

Artemis I ha raggiunto tutti gli obiettivi. Dopo vari rinvii del lancio, si è svolto tutto alla perfezione. Dal decollo al delicato rientro nell’Oceano Pacifico: dopo oltre 2 milioni di chilometri e 25 giorni e 10 ore di viaggio, la capsula ha toccato l’acqua con meno di un minuto di ritardo! Meraviglioso.

La partenza e la separazione degli stadi del più potente razzo mai costruito finora, lo Space Launch System Nasa.
Lo scorso 16 novembre ha portato in orbita la capsula Orion, diretta verso la Luna.

Artemis I è un collaudo di tutti i passaggi necessari a riportare gli astronauti sulla Luna e riguarda tutte le operazioni: da quelle preliminari al lancio all’analisi della navicella e dei dati a missione conclusa.

La prima grande prova da sostenere riguardava il funzionamento del nuovo sistema integrato, lanciatore + sonda, cioè Space Launch System + Orion. Entrambi sono a firma Nasa, ma era la prima volta che volavano insieme. Entrambi inoltre devono poter lavorare in perfetta sincronia con i sistemi terrestri di esplorazione presso lo spazioporto della Nasa in Florida.

Sistema di propulsione per lo Space Launch System, il lanciatore Nasa delle missione Artemis.
Immagine Nasa.

Gli ingegneri che hanno lavorato alla missione Artemis I hanno avuto la possibilità di testare sistemi e operazioni anche oltre la soglia delle condizioni che è ragionevole aspettarsi durante una tale missione. Hanno creato di proposito condizioni di stress per la sonda, anche oltre quello che ci si aspetterebbe durante una missione che “fila liscia”, proprio per essere pronti a intervenire e risolvere eventuali malfunzionamenti o imprevisti nelle successive occasioni, in cui a bordo ci saranno persone la cui sicurezza e incolumità va protetta.

I sistemi da verificare

Tra i test tecnici c’era la verifica del funzionamento dei pannelli solari del modulo di servizio, che ricavano l’energia necessaria ad alimentare la capsula Orion.
Ovviamente bisognava verificare che i motori a bordo del modulo di servizio potessero consentire i movimenti necessari a controllare la rotta.

Occorreva inoltre verificare il funzionamento dei sistemi di navigazione e di quelli che riescono a calcolare accelerazione e orientamento del veicolo. Diversi sistemi intervengono a raggiungere tali obiettivi: giroscopi, accelerometri, mappe stellari e quindi anche fotocamere per paragonare il panorama reale alle mappe.

La sonda e il modulo di servizio sono ricchi di fotocamere interne ed esterne: non sono lì solo per donarci immagini di uno spettacolo che diversamente pochissimi di noi riusciranno mai a vedere, sono strumenti essenziali per assicurarsi che la missione proceda bene. E sono anche usati proprio per individuare l’orientamento e la posizione rispetto al cielo di stelle, che resta tranquillo e silenzioso sfondo al viaggio.

La comunicazione è essenziale

Trai veri test effettuati, c’è anche la verifica dei sistemi di comunicazione. Da terra, se tutto procede senza imprevisti, tecnici e scienziati al controllo della missione sanno sempre dove si trova la navicella e cosa sta accadendo. Possono infatti comunicare con essa e trasmettendo una quantità di informazioni ben superiore a quanto si potesse fare 50 anni fa, durante le missioni Apollo. È anche per questo che oggi possiamo permetterci decine di telecamere: perché possiamo recuperare in tempi ragionevoli una gran quantità di dati (e immagini e video) che la sonda invia verso terra.

C’è solo una circostanza in cui si perde contatto diretto con la sonda: quando essa orbita dall’altra parte della Luna rispetto alla Terra. Questa è una circostanza prevista e si potrebbe risolvere se venissero distribuiti in posizioni opportune dei ripetitori, antenne che triangolano il segnale dalla navicella in transito verso la Terra. Al momento si accetta che per un determinato intervallo di tempo si debba perdere il segnale. La durata di tale intervallo dipende da quale orbita sta percorrendo la sonda attorno alla Luna.

Deep Space Network

Appena possibile, la rete Deep Space Network è pronta a ristabilire la comunicazione con la sonda che spunta al di là del disco lunare.
La Deep Space Network è la rete di comunicazione con lo spazio profondo. È costituita da tre strutture equidistanti l’una dall’altra, a circa 120 gradi di longitudine, in tutto il mondo. Questi siti sono in California, a Goldstone, vicino a Barstow; in Spagna, vicino a Madrid; in Australia, vicino a Canberra.

Il posizionamento strategico di questi siti consente una comunicazione costante con i veicoli spaziali mentre il nostro pianeta ruota. Il contatto con una sonda infatti si perde anche se noi dalla Terra “gli voltiamo le spalle”, per così dire. Con strutture di comunicazione poste a opportuna distanza sul pianeta, prima che un veicolo spaziale scompaia sotto l’orizzonte in uno dei siti, da un altro sito si comincia a captare il segnale e si può continuare a comunicare.

Tecniche e strumenti di rientro

Non meno importante da verificare la fase di rientro in atmosfera terrestre: una delle parti più delicate della missione, in cui la capsula Orion è passata dalla velocità in ingresso di oltre 40mila chilometri orari a quella, più gestibile, di circa 30 chilometri orari al momento del contatto con la superficie dell’oceano, il cosiddetto “splashdown”. Per confronto, di rientro dalle missioni degli astronauti sulla Stazione Spaziale internazionale si raggiungono velocità di ingresso in atmosfera di circa 27mila chilometri orari: la tecnologia per gestire i rientri dallo spazio profondo, come per Artemis, deve essere diversa e più resistente.

Scudo termico

Per proteggere la sonda all’ingresso in atmosfera a quelle velocità, si deve avere un funzionale scudo termico, in grado di resistere a temperature di migliaia di gradi centigradi. Nel caso di Orion durante le missioni Artemis, le temperature superano i 2500 gradi centigradi, metà della temperatura superficiale del Sole.
Lo scudo termico è sistemato al di sotto della capsula Orion ed è la parte che si fa in modo di opporre alla direzione di caduta per fronteggiare gli strati di atmosfera durante la discesa.

Skip entry technique

Il rientro di Orion ha permesso di sperimentare una “nuova” tecnica, detta skip entry technique, in italiano traducibile come rientro a balzi.
L’idea è quella di sfruttare quel meccanismo per cui un sasso lanciato con la giusta inclinazione su uno specchio d’acqua rimbalza per un po’ prima di affondare.
Allo stesso modo, sfruttando il giusto angolo di rientro e tenendo conto della velocità della sonda, si può fare in modo che questa entri nell’atmosfera, quasi “surfando” per un po’, salga di nuovo in quota e poi ricada verso terra. Questa manovra è comoda perché, se eseguita alla perfezione, permette un controllo più preciso del punto di atterraggio, o ammaraggio, più propriamente.
Non è priva di rischi, perché una velocità troppo alta combinata ad un’inclinazione troppo bassa porterebbe la sonda a sfuggire nuovamente alla gravità terrestre, con la possibilità di perdersi per sempre nello spazio.

La tecnica non è propriamente nuova, nel senso che era stata immaginata già dai tedeschi negli anni ’30 del secolo scorso e già provata dai Russi negli anni tra i ’60 e i ’70. Anche le missioni Apollo hanno provato a impiegarla. Oggi la tecnologia è molto più sofisticata e consente di gestire il punto di ammaraggio con margini di spostamento superiori e precisione maggiore.

Paracadute

A frenare la caduta intervengono infine i paracadute. Una serie di 11 paracadute di tipo diverso, che si aprono in sequenza e rallentano progressivamente la corsa di Orion verso l’oceano. I teli dei paracadute sono in nylon, mentre i cavi che li tengono assicurati alla sonda sono in kevlar.

Il viaggio di Artemis I verso la Luna e ritorno

Mappa Nasa che mostra i punti salienti della traiettoria seguita dalla sonda Orion nella missione Artemis I.

Per arrivare nei pressi della Luna una missione spaziale ci impiega circa 4 giorni: in questo intervallo di tempo il veicolo spaziale è arrivato abbastanza vicino alla Luna da risentire prevalentemente della sua sola influenza gravitazionale. Si dice quindi che il veicolo è entrato nella sfera di influenza (gravitazionale!) della Luna.

Da qui i giochi si complicano: non vogliamo schiantarci sulla Luna, ovviamente, vogliamo – in questo caso – orbitarle attorno, prima di ripartire. Bisogna entrare in orbita.

Orbita retrograda distante

La missione Artemis I ha compiuto un’orbita detta retrograda distante (distant retrograde orbit, Dro), anzi ha percorso metà orbita, per essere precisi. Questo tipo di orbita si definisce “distante” perché la quota della sonda rispetto alla superficie era alta: poco oltre i 60mila chilometri. Per confronto, la Stazione Spaziale Internazionale orbita attorno alla Terra ad una distanza che va poco oltre i 400 chilometri.
Si definisce poi “retrograda” perché la sonda Orion girava attorno alla Luna nel senso opposto della rivoluzione della Luna attorno alla Terra.

Un’orbita retrograda distante è un’orbita comoda, perché abbastanza stabile da permettere di tenere in equilibrio una sonda attorno ad un corpo minore, senza continui aggiustamenti di rotta.

La missione Artemis I quindi è durata in tutto 25 giorni e 10 ore.
Per i primi 9 giorni e 13 ore, Orion ha seguito una traiettoria di allontanamento dalla Terra ed eseguito i voli ravvicinati attorno alla Luna fino all’inserimento in orbita.
Ha passato poi 6 giorni in orbita retrograda.
Nei restanti 9 giorni e 19 ore, Orion ha effettuato le manovre di uscita dall’orbita lunare e si è messa in traiettoria di riavvicinamento verso la Terra, per poi ammarare nell’oceano.

I record di Artemis I

Nel suo viaggio attorno alla Luna, Orion è giunta lì dove nessuna sonda costruita per l’esplorazione spaziale umana era mai giunta finora: a poco più di 430mila chilometri dalla Terra, il 28 novembre poco dopo le 22:00. Il precedente record, di poco più di 400mila chilometri, spettava all’Apollo 13.

Orion osserva il sistema Terra – Luna dalla sua massima distanza da casa.
Foto Nasa.

Nel balletto di orbite attorno alla Luna, la sonda Orion ha quasi sfiorato la superficie lunare, passando a circa 130 chilometri durante l’ultimo passaggio ravvicinato lunedì 5 dicembre. Beh, “sfiorato” in termini astronomici, si intende 🙂 Era dalla missione Apollo 17 che una sonda da equipaggio non arrivava così vicina al nostro satellite!

La Luna, da vicino. Le fotocamere a bordo di Orion fotografano la Luna durante uno dei sorvoli ravvicinati.
Foto Nasa.

Fondamentale collaborazione Nasa – Esa per la missione Artemis

Tutte le manovre dei passaggi ravvicinati alla Luna e di inserimento in orbita lunare e ripartenza sono state possibili grazie al modulo di servizio a costruzione europea (European Service Module, Esm) su cui la sonda Orion ha viaggiato.

Sistema di propulsione Orion.
La capsula Orion è il crew module: accoglierà gli astronauti al suo interno nelle prossime missioni Artemis.
Il modulo di servizio (European Service Module) fornisce energia, controlla i sistemi per assicurare la sopravvivenza nella capsula e gestisce i movimenti con 33 diversi motori.
Immagine Nasa.

Il modulo di servizio Esa fornisce energia grazie ai pannelli solari alla sonda per equipaggio Orion, ne controlla inoltre la temperatura e l’afflusso di aria e acqua. È poi dotato di ben 33 motori di dimensioni diverse, disseminati in punti cruciali per ottenere un perfetto controllo nei movimenti da imprimere alla sonda.

Dettaglio del modulo di servizio europeo che mostra il motore principale (orbital maneuvering system, sistema di manovra orbitale) e altri 8 più piccoli sistemati attorno ad esso.
Foto Nasa.

Il modulo di servizio europeo ha accompagnato la capsula di ritorno dalla Luna proprio fino alle soglie dell’atmosfera terrestre. Ha terminato il suo compito e quindi si è staccato dall’Orion circa un quarto d’ora prima che la sonda toccasse la superficie di ingresso in atmosfera.

Link alle dirette streaming

«Più dura è la salita, migliore è la vista», dice la direttrice di lancio di Artemis I, Charlie Blackwell-Thompson in questo video.

Un breve riepilogo dei momenti salienti del lancio di Artemis I.

Ci sono voluti anni, pieni di ripensamenti da parte del governo americano, prima di avere l’ok definitivo per il programma Artemis. E poi mesi e mesi di controlli, imprevisti, aggiustamenti e pause per meteo avverso per la missione Artemis I. Finalmente il primo passo verso la Luna e oltre è stato compiuto.
Orion ha orbitato attorno alla Luna ed è tornata a casa.

La versione integrale del video di rientro e recupero di Orion, avvenuto l’11 dicembre 2022.

Adesso non resta che analizzare i dati e procedere al secondo passo: equipaggio umano per Artemis II.

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