Un nuovo studio , pubblicato dall’astrobiologa Sara Seager e colleghi, prova a fornire uno scenario coerente in cui forme di vita microscopiche potrebbero sopravvivere tra le nuvole di Venere, pianeta tanto affascinante da osservare nel cielo notturno terrestre quanto micidiale e inospitale per condizioni chimiche e fisiche.
In questo articolo:
- Un pianeta infernale
- Né troppo su, né troppo giù: proprio al punto giusto
- Il ciclo di vita dei (supposti) microbi venusiani
- Quale vita?
Un pianeta infernale
Quando gli astronomi si interrogano su quali altri posti nel sistema solare potrebbero ospitare la vita, oltre alla Terra, la discussione ricade sempre su Marte o su qualche bel grosso satellite di Giove o Saturno.
E Venere? Grande circa quanto la Terra e alla giusta distanza dal Sole per essere ritenuto nella sua fascia abitabile, sembrerebbe un buon candidato alla vita, no?
Beh, se non fosse che ha densissime nuvole che generano una pressione al suolo 92 volte più elevata di quella terrestre e un effetto serra terribile, che porta Venere ad avere la temperatura più alta tra tutti i pianeti del sistema solare. Per non farsi mancare nulla, l’atmosfera è quasi totalmente composta da anidride carbonica, con un gradevole assaggio di anidride solforosa qua e là. Meraviglioso.
Ora, è vero che i fenomeni naturali hanno più fantasia di noi poveri umani e che anche sulla Terra esistono forme di vita che non avremmo mai immaginato, ma davvero qualcosa potrebbe vivere su Venere?
Quale razza di estremofilo dobbiamo inventarci per ipotizzarne la collocazione su Venere? E con quale ciclo di vita?
Né troppo su, né troppo giù: proprio al punto giusto
È esattamente la domanda che si sono posti Sara Seager e colleghi, provando a dare risposta nel loro articolo.
L’ipotesi alla base di questo studio è duplice: microrganismi si trovano in una fascia atmosferica dalle caratteristiche fisiche “concilianti” e hanno un meccanismo per evitare di cadere di sotto e “friggersi” nell’inferno atmosferico venusiano.
Seager e colleghi non sono i primi ad ipotizzare che anche il gemello bollente e tossico della Terra possa avere vita a bordo.
Celebre è un articolo di Carl Sagan e Harold Morowitz in cui si analizzava la possibilità di vita venusiana. Quell’articolo però è del 1967 e, sebbene gli astronomi stessero già facendosi un’idea di come fosse Venere in realtà, ancora non si aveva ben apprezzato quanto fosse estremo.
Altri astrobiologi hanno provato a ipotizzare vita tra le nuvole. Il motivo è facilmente comprensibile: tra i circa 50 e i 60 chilometri di quota, l’atmosfera di Venere ha temperature in un intervallo tra gli 0 e i 50 gradi centigradi e pressione di circa un’atmosfera. Insomma, a quell’altezza ci si trova in una zona fisicamente analoga a ciò che abbiamo sulla superficie terrestre.
Fisicamente essendo la parola chiave: la chimica, come accennavo prima, è completamente diversa. Non c’è praticamente ossigeno (meno di 20 molecole di ossigeno ogni milione di molecole atmosferiche), ma ci sono gas che per noi sarebbero velenosi. Però, ehi, le piante sulla Terra usano anidride carbonica: chissà che non si sviluppi un organismo che usi quella per sopravvivere tra le nuvole di Venere!
La cosa importante per le possibili forme di vita aerea di Venere resta – come per la controparte terrestre – vivere in minuscole goccioline di liquido (tipicamente acido solforico e qualche rarissima volta acqua), senza il quale sarebbe completamente secca. Ma le goccioline liquide sospese in un’atmosfera planetaria tendono a incontrarsi, coalescere e formare gocce più grosse e pesanti: da qui le piogge.
Che ne è degli ipotetici microbi venusiani se la goccia di liquido in cui stanno vivendo esce dalla zona temperata dell’atmosfera cadendo verso il basso? Come fanno a restare sospesi alla giusta altezza e non morire di caldo – letteralmente – cadendo di sotto?
Il ciclo di vita dei (supposti) microbi venusiani
Potrebbero sopravvivere usando le spore: una fase del ciclo di vita di un organismo in cui è una sorta di stasi, mettendo in pausa i processi metabolici e aumentando la propria resistenza a condizioni ambientali avverse.
Secondo Seager e colleghi, gli ipotetici microbi venusiani che riuscirebbero tranquillamente a vivere nella fascia intermedia, quella con temperature e pressioni simili alle condizioni terrestri al suolo, potrebbero dover fronteggiare il trovarsi in una fascia sottostante, molto più calda.
La zona tra i 33 e i 47,5 chilometri di quota nell’atmosfera di Venere è fatta da particelle che non sappiamo bene cosa siano, ma sappiamo avere dimensioni tra 0,4 e 4 micrometri (cioè milionesimi di metro: un capello è mediamente spesso 100 micrometri).
L’idea che questo nuovo studio esplora è che i microbi trascinati verso il basso dalla loro goccia-casa perdano via via il liquido di cui si erano circondati, scendendo in ambiente a temperature più alte. A questo punto sopravvivrebbero in una fase di stasi sotto forma di spore. Non è un comportamento totalmente sconosciuto: sulla Terra ad esempio abbiamo i tardigradi, microscopici animali in grado di sopravvivere per anni in stasi per poi tornare in vita se entrano in contatto con una goccia d’acqua.
Le spore resterebbero sospese in questa zona dell’atmosfera proprio perché di dimensioni e peso paragonabili al resto delle particelle lì sospese. Affrancatesi dal liquido che le circondava, insomma, non corrono il rischio di continuare a cadere verso il suolo.
Alcune correnti ascensionali riuscirebbero poi a ritrasportare verso l’alto le spore dormienti, portandole nella giusta fascia di abitabilità dell’atmosfera venusiana. Lì i microbi tornerebbero a fare da nucleo di condensazione, lasciandosi circondare dai liquidi necessari a riattivare i propri processi metabolici.
E il ciclo riparte.
Quale vita?
Ok: le condizioni fisiche consentirebbero la vita in una precisa fascia dell’atmosfera venusiana. Se i microrganismi cominciano a cascare di sotto, il fatto di essere “micro” gioca a loro vantaggio e li tiene sospesi, sebbene debbano ricorrere alla fase di spora.
E per quanto riguarda la chimica?
La cosa certa è che se si immagina vita aerea, perpetuamente sospesa in atmosfera, tutte le sostanze nutritive di questi ipotetici microrganismi devono essere ricavate dall’ambiente circostante, cioè dai gas atmosferici di Venere.
Oltre il 96% dell’atmosfera di Venere è anidride carbonica; 3,5% di azoto; tracce di altri gas, tra cui acido solforico, che per altro si concentra soprattutto in quella fascia media di atmosfera dove si immagina la presenza dei microrganismi.
Mentre si può immaginare che eventuali forme di vita negli strati delle nuvole di Venere possano attivare processi di fotosintesi come fanno alcuni organismi terrestri (ad esempio le piante), sembra più difficile conciliare l’idea di vita – sempre per così come la consociamo sulla Terra – con l’ambiente acido.
Per confronto, l’ambiente di quella fascia intermedia di atmosfera di Venere è 100 miliardi di volte più acido del più inospitale luogo sulla superficie terrestre: gli stagni caldi iperacidi e ipersalati attorno al vulcano Dallol in Etiopia. E già lì sembra che la vita sia preclusa, stando ai più recenti studi (novembre 2019), figurarsi in un posto ancora più acido!
Insomma, esiste una zona intermedia tra le nubi dell’infernale pianeta Venere dove microscopiche forme di vita potrebbero resistere, stando alle condizioni fisiche. Eppure, visto dal punto di vista della chimica dell’ambiente, la speranza si affievolisce.
Ipotesi da scartare? Forme di vita talmente diverse da quello che conosciamo che sono in grado di sopravvivere in condizioni tanto estreme?
Solo ulteriori studi potranno risponderci.
Puoi approfondire leggendo lo studio originale: “The Venusian Lower Atmosphere Haze as a Depot for Desiccated Microbial Life: A Proposed Life Cycle for Persistence of the Venusian Aerial Biosphere” di Sara Seager et al.