Giovedì 12 maggio la collaborazione internazionale Event Horizon Telescope ha fatto l’annuncio che aspettavamo: è pronta la prima foto del buco nero supermassiccio al centro della nostra galassia, Sagittarius A*. Non è la prima foto in assoluto della zona attorno ad un buco nero: lo stesso gruppo di ricerca aveva già prodotto l’immagine del buco nero al centro della galassia M87 pubblicandola nel 2019.
Come si ottiene una foto così? E perché è importante? Parliamone!
[Avviso: in questo articolo rimando un milione di volte ad articoli futuri. Non ci crederai, ma sono settimane che voglio scrivere una serie sui buchi neri. Ad averlo fatto prima me li sarei ritrovati a fagiolo!]
Cosa si vede nella foto di Sgr A*
Tre blob luminosi uniti in una pseudo ciambella, leggermente meno brillante, che circonda un apparente vuoto, nero, senza luce.
L’ombra del buco nero
La parte centrale dell’immagine, che vuota proprio non è, è l’ombra del buco nero. È lo spazio da cui niente può fuggire. Nessuna particella di materia, ma nemmeno di luce. Nessun fotone può arrivare da lì a informarci di cosa stia accadendo in quella zona. C’è un motivo molto sensato per cui si chiama ombra: provo a raccontartelo in breve ma l’approfondirò in un prossimo articolo.
Un oggetto estremo come un buco nero deforma la regione di spaziotempo in cui si trova. L’effetto sia sulla materia sia sulla luce è parecchio divertente. Le singole particelle di luce, i fotoni, a seconda della loro distanza dal buco nero, possono essere guidati lungo traiettorie che, senza quelle deformazioni spaziotemporali, non si sognerebbero mai di seguire. Se, lungo la nostra linea di vista, un fotone va dritto dritto contro il cosiddetto orizzonte degli eventi, una superficie ideale che avvolge il buco nero e oltre la quale nemmeno la luce può più sfuggire, allora è perso per sempre. Non può appunto invertire rotta e tornare verso i nostri occhi. O telescopi.
Il bello è che se anche un fotone, sempre lungo la nostra linea di vista, sembrasse poter passare poco oltre l’orizzonte degli eventi, diciamo poco sopra, beh… in realtà anche lui è spacciato. Entro una certa distanza dal buco nero il fotone comunque è catturato. Se non cade sulla porzione di orizzonte degli eventi nella nostra direzione, gli cade comunque alle spalle.
Ecco, “ombra” è usato proprio per tale motivo: la parte scura al centro della foto è quell’assenza di luce che è sia l’orizzonte degli eventi del buco nero sia la sua… parte posteriore. L’orizzonte degli eventi che fa ombra a se stesso.
Ti ho confuso male? Dai, più avanti può solo peggiorare. O forse no.
Un buco con la luce intorno
Veniamo alle zone luminose. Lì vediamo l’emissione di radiazione dalle polveri e dal gas che circondano il buco nero. Stanno girando a velocità impressionanti in un disco di accrescimento attorno a quel supermassiccio corpo centrale, quindi hanno molta energia che in parte disperdono come radiazione.
Il fatto che ci siano dei blob più brillanti può essere dovuto ad un paio di concause. Innanzitutto esiste un fenomeno fisico per cui del materiale che si muove a velocità relativistiche, quindi molto alte, verso chi lo osserva risulta molto più brillante. Questo effetto si chiama doppler relativistico e dà indicazioni su come sta girando il materiale attorno al buco nero.
Inoltre una maggiore luminosità può significare più materiale. Ad esempio, se un buco nero semi quiescente all’improvviso smembra e mangia una stella, nei punti in cui c’è il materiale stellare più concentrato c’è anche più radiazione emessa e quindi quella zona brilla di più.
Perché Sgr A* è arancione
Perché lo abbiamo deciso noi. E ok, io non c’ero, uffa. Lo hanno deciso gli astronomi.
L’immagine non è in banda ottica, cioè non è quello che vedrebbero i nostri occhi, ammesso che riuscissero a distinguere un oggetto così distante senza ausilio.
L’immagine è in banda radio. La luce visibile è solo una piccola parte di un vasto spettro di possibilità: la radiazione elettromagnetica non si limita al visibile e prende nomi diversi a seconda delle sue caratteristiche fisiche. Una convenzione di origini storiche che ci aiuta a capirci in fretta.
Le onde radio sono più lunghe di quelle che vediamo con gli occhi. La lunghezza d’onda a cui si è osservato Sgr A* per ottenere le immagini è di 1.3 millimetri. Se questa ti sembra piccola, è perché non ti immagini la lunghezza d’onda dei raggi X, così, per dirne una. [non ci crederai: anche un dettaglio sulla radiazione elettromagnetica fa parte dei prossimi articoli che scriverò]
L’immagine in sé sarebbe in bianco e nero, in scala di grigi. L’occhio umano però non apprezza benissimo i dettagli in scala di grigi, quindi solitamente alle immagini astronomiche, soprattutto non ottiche, si applicano dei falsi colori scelti dagli scienziati con lo scopo di migliorarne la visibilità. L’arancione è una scelta veramente comune in astrofisica, ma non è l’unica. A volte si preferisce una scala di colori tipo arcobaleno, oppure una in cui invece di andare dall’arancione chiaro all’arancione scuro/marrone, si va dal blu al rosso passando per il bianco. Insomma, l’obiettivo è far risaltare all’occhio i dettagli nell’immagine. Astronomi artisti!
Perché la foto è tanto sfocata
Ci sono due ragioni per cui questa immagine è sfocata ed entrambe derivano dalla difficoltà di osservare un oggetto lontanissimo.
Il materiale attorno al buco nero si muove velocemente
Per ottenere l’immagine di un oggetto estremamente distante, quindi debole, bisogna osservarlo per tempi lunghi.
Una sessione di osservazione di Sgr A* ad esempio può durare delle ore. Il materiale che emette radiazione, e che è in definitiva quello di cui otteniamo l’immagine, è in movimento con una velocità enorme. Un fotone al limite dell’ombra di Sgr A* ci metterebbe solo pochi minuti a fare il giro.
Quindi noi siamo qui, belli fermini con i nostri strumenti a osservare, mentre quel gas e quelle polveri girano vorticose attorno al buco nero. Il risultato è lo stesso di quando si fa una foto a lunga esposizione, ad esempio ad una strada trafficata di notte: le macchine non le vediamo ferme e dettagliate, ma in scie confuse bordate dalle tracce filiformi dei fanali accesi.
O, per riprendere una similitudine degli stessi scienziati della collaborazione Eht, è come fotografare un cane mentre si scuote di dosso l’acqua dopo essersi bagnato. Non si fotografano i dettagli del cane, ma un’immagine confusa di pelo in movimento.
Stiamo osservando oggetti la cui dimensione apparente in cielo è minuscola!
Sai quell’orizzonte degli eventi di cui parlavo prima? La zona oltre la quale nulla può più sfuggire? Usando un’approssimazione, si calcola facilmente che per Sgr A* il raggio dell’orizzonte degli eventi è di 12 milioni di chilometri.
Sgr A* però dista da noi oltre 26mila anni luce, quasi 27mila. Noi, attorno al Sole, siamo infatti uno di quei sistemi di periferia, lontani dal centro galattico. E per fortuna: il centro galattico è un posto troppo affollato per esseri viventi delicati come noi!
Cercare di fotografare un oggetto, o più propriamente, i dintorni immediati di un oggetto, con quelle dimensioni a quelle distanze è lo stesso che cercare di fotografare un’arancia sulla superficie della Luna. Dalla Terra.
Come si fa ad osservare con la risoluzione voluta? Cioè riuscendo a risolvere i dettagli di un oggetto apparentemente minuscolo? Beh, semplicissimo: si aumenta la grandezza del telescopio. C’è un piccolo problema, di poco conto: facendo due conti risulta che il telescopio necessario per ottenere tale risoluzione dovrebbe avere un piatto grande quanto l’intero pianeta!
Eppure le foto, sebbene non alla risoluzione perfetta ma un pochino sfocate, le abbiamo, qual è il trucco?
Come si ottiene una foto così
La rete di telescopi dell’Event Horizon Telescope
Grazie ad un fenomeno che quando l’ho scoperto all’università mi sembrava troppo bello per essere vero! Eppure è vero vero.
Se si osserva una sorgente con due telescopi ad una certa distanza tra loro, si può ricostruire l’immagine come se l’avessimo osservata con un singolo telescopio grande l’intera distanza tra i due telescopi usati. Detto diversamente, se ho due telescopi a 1000 chilometri di distanza e li uso insieme in modo opportuno, posso ricavare un’immagine con la risoluzione di un telescopio singolo da 1000 chilometri di diametro.
Questa tecnica è l’interferometria a lunghissima base ed è ormai una prassi nell’osservazione radio. La collaborazione Event Horizon Telescope infatti non è un singolo telescopio o istituto di ricerca, ma un gruppo di enti che gestiscono diversi telescopi sparsi per il mondo, incluso uno in Antartide.
Ecco qual è il trucco: non abbiamo un grande telescopio, ma una grande collaborazione!
Non solo hardware
Tutto ciò non basta. Con i telescopi si riesce a ricostruire una serie di immagini ma queste immagini variano troppo una rispetto all’altra: bisogna studiare un sistema per ottenere l’immagine media più rappresentativa dell’oggetto che si sta guardando. Qui ormai l’hardware non può aiutare oltre: entra in gioco il software.
I ricercatori dell’Eht hanno elaborato un software in grado di raggruppare le immagini più simili tra di loro e stabilire, aggregando le informazioni e mediando, quale possa essere l’immagine media più verosimile dell’oggetto osservato.
Perché è stata ottenuta prima l’immagine di M87*
Le osservazioni per ricostruire l’immagine del buco nero centrale della galassia M87, M87*, e quelle usate per ricostruire l’immagine di Sgr A* sono state fatte nel 2017.
Mentre la foto di M87* era disponibile già nel 2019 però, per avere quella di Sgr A* abbiamo dovuto aspettare ancora a lungo. Come mai?
Il buco nero supermassiccio in M87 ha molta più massa di quello al centro della Via Lattea. Circa 1500 volte più massa. È anche parecchio più lontano, circa 2000 volte più lontano. Il risultato è che la loro grandezza apparente in cielo dalla Terra è circa la stessa. Cioè per entrambi minuscola.
Il vantaggio però è che se un buco nero ha più massa, il suo orizzonte degli eventi è più esteso. Il materiale che ci gira velocissimo attorno ci impiega più tempo a completare un’orbita. L’osservazione risente del materiale in movimento, che in sostanza aggiunge una altissima variabilità alle immagini che si ottengono. Quindi il lavoro di software per estrarre l’immagine media più verosimile all’originale è stato più facile sul buco nero spaventosamente massiccio di M87 e ha invece richiesto più tempo e pazienza per Sgr A*.
Immagine: EHT collaboration (acknowledgment: Lia Medeiros, xkcd)
Un altro ostacolo all’osservazione di Sgr A* è tutto il materiale tra noi e il centro della galassia. Noi siamo infatti nello stesso disco che contiene il buco nero, ma anche stelle e soprattutto polveri e gas interstellari. Questi non solo impediscono alla luce visibile di raggiungere la Terra, nascondendoci il nucleo galattico e altre porzioni del disco, ma deviano la radiazione rendendo difficile ricostruire le immagini delle sorgenti.
La zona attorno al buco nero centrale non emette solo onde radio infatti, solo che le onde radio, più lunghe, hanno più probabilità di oltrepassare polveri e gas e di essere osservate.
La giusta banda osservativa e una buona risoluzione permettono di “vedere” fin nei più nascosti recessi del nucleo della Via Lattea.
Nell’immagine qua sopra si parte dalla posizione del nucleo galattico in cielo e si zoomma fino a raggiungere il minuscolo dettaglio di Sgr A*.
Perché questa foto è importante
Cerco un momento di astrarmi dal mio punto di vista di pura meraviglia per scienza e conoscenza e quindi evito di rispondere solo con «Ma scusa??? Foto – Del – Buco – Nero ?!».
Foto di questo tipo sono interessanti perché ci permettono di provare l’esistenza dei buchi neri, oggetti talmente assurdi che lasciavano perplesso Einstein stesso. Oggetti ancora non ben compresi, che restano quindi meravigliosi nel loro fascino e che tanto più vogliamo studiare e capire.
Allo stesso tempo, aver constatato che la foto di Sgr A* e di M87* sono, salvo i dettagli più fini, praticamente uguali, è una prova in più che la teoria della relatività generale descrive oggetti anche enormemente differenti per dimensione.
Mentre Sgr A* ha una massa di oltre 4 milioni di masse solari, M87* ha una massa di oltre 6 miliardi di masse solari. Hai letto bene, miliardi. La teoria della relatività generale, da cui si può derivare l’esistenza dei buchi neri, resta la valida descrizione del comportamento di oggetti che sono mille volte uno più massiccio dell’altro. Non era scontato che fosse così.
Si stima che praticamente tutte le galassie più grandi abbiano un buco nero supermassiccio al centro. Se così fosse, la nascita e l’evoluzione di ogni galassia stessa potrebbero essere intimamente legate alla presenza e al comportamento del proprio buco nero centrale. Non tutti questi buchi neri supermassicci si comportano nello stesso modo: alcuni sono molto attivi perché ingurgitano grandi quantità di materia che vi si riversa da ampi dischi di accrescimento che li nutrono. Altri, come Sgr A*, sono belli addormentati, che mangiano pochino e non hanno chissà quale effetto sul resto della galassia. Almeno per ora…
Studiare i buchi neri significa studiare le galassie che li ospitano, per capire come co-evolvono e quali siano le conseguenze della presenza di un oggetto così estremo nel proprio cuore.
p.s.: Sgr A* non ci risucchierà
Un’ultima cosa prima di lasciarti. Sapere di un simile mostro al centro della nostra galassia può indurre a pensare che in qualche modo siamo o saremo in pericolo… In realtà non è così.
Approfondirò come funziona un buco nero in un prossimo articolo, ma posso già dirti che questi oggetti non risucchiano indiscriminatamente a distanza di anni luce. Semplicemente, se ci si avvicina troppo si è costretti dalla distorsione spaziotemporale a finire dritti dritti oltre l’orizzonte degli eventi, e da lì addio universo esterno.
Noi siamo lontanucci dal centro della galassia, oltre 26mila anni luce: non è facile finirci nei pressi. Non accadrà. E un buco nero non mangia la sua intera galassia. Non abbiamo esempi in tal senso. O, almeno, non che io ricordi. Ma approfondirò.
Di questo e molto altro ti parlo nelle prossime puntate.
Qualsiasi cosa tu voglia sapere o approfondire o chiedermi di raccontare meglio, non esitare a lasciarmi un commento qui sotto!
Immagine di copertina: Credit: ESO/José Francisco Salgado (josefrancisco.org), EHT Collaboration.
Complimenti ben scritto e molto interessante ovviamente. Non seguo la letteratura scientifica sull’argomento, ma leggendo ogni tanto pezzi divulgativi sui buchi neri non mi sembra di aver visto menzionata la dark matter. Ci sono evidenze di presenza di dark matter al centro delle galassie, oltre che intorno? Dark matter risente, almeno in teoria, della attrazione gravitazionale del buco nero? Grazie
Grazie a te, Roberto!
C’è una ragione se non si nomina praticamente mai la materia oscura parlando di buchi neri: è che probabilmente è irrilevante alla loro crescita.
Provo a riassumere un paio di idee ma qui ci starebbe bene un intero articolo! Anzi due.
Riprendo il concetto di buco nero che non risucchia tutto ciò che gli va, ma semplicemente aspetta lì passivamente che qualcosa gli cada addosso.
Questa massa che gli cade addosso, a prescindere da cosa sia, per finire intrappolata oltre l’orizzonte degli eventi o deve praticamente (quasi) centrarlo, oppure deve poter dissipare energia mentre gli si avvicina. Quest’ultimo caso è quello di tutto il materiale fotografato ad esempio attorno a Sgr A*: gas e polveri che ruotano attorno al buco nero centrale in un disco di accrescimento. Questi materiali girando si scaldano, emettono energia, quindi perdono energia. Perdendo energia spiraleggiano sempre più stretti attorno al buco nero, finché questo riesce a mangiarseli, sempre passivamente. Il materiale “semplicemente” oltrepassa l’orizzonte degli eventi.
Ora, la materia oscura è diversa dalla materia delle stelle, del gas, delle polveri,… È stata proprio ipotizzata in questo modo: una materia ignota che non emette radiazione ma che interagisce gravitazionalmente. Se non emette radiazione, significa che non si può avviare per essa quel processo di dissipazione dell’energia che la porta a cadere inevitabilmente oltre l’orizzonte degli eventi (posto che partisse già da una zona relativamente vicina al buco nero, perché – come commentato nell’articolo – la roba lontana resta sana e salva).
Quindi le eventuali particelle (?) di materia oscura o vanno proprio dritte verso l’orizzonte degli eventi, oppure sfrecciano al di là del buco nero come se nulla fosse.
Teoricamente i buchi neri mangeranno pure della materia oscura, ma in frazioni trascurabili rispetto alla materia barionica (tutta quella materia che fa le stelle e tutto il resto nell’universo).
Per rispondere all’altra domanda, la materia oscura è dedotta (e ipotizzata) da come si muovono stelle e gas nelle galassie. Per spiegare la loro dinamica, occorre avere molta più massa di quella visibile, diffusa in un grande alone molto esteso e molto massiccio che racchiude l’intera galassia. Quindi sì, la materia oscura c’è al centro, c’è nella galassia e c’è parecchio oltre la fine della galassia visibile, ben oltre le sue ultime stelle periferiche.
Se esiste. 🙂
Intanto mi segno di scrivere di materia oscura: effettivamente finora non ne ho mai parlato.
Grazie dello spunto!