Un altro anno di Scienza e Comunicazione

Mi è venuta la poco originale idea di guardare indietro, ai 12 mesi appena trascorsi, e cercare i momenti più significativi in mezzo alle migliaia (milioni?) di ricordi generati quotidianamente dal mio lavoro.

Piano piano, i ricordi hanno cominciato ad affiorare, prima diafani e silenziosi, poi sempre più vividi e fragorosi. Persone differenti, in luoghi differenti, fisici e virtuali. Anch’io avevo un ruolo differente in ognuno dei ricordi. Continuando a surfare tra di essi però ho trovato un denominatore comune, un sottotesto sempre presente. Evidentemente questo filo rosso è il dettaglio che rende più presenti e più facili da richiamare alcuni ricordi rispetto a moltissimi altri: il lato umano.
In ognuno dei bei ricordi lavorativi di quest’anno c’era un dettaglio che andava oltre la professionalità e il mero esito funzionale del lavoro che mi era stato commissionato: c’era una relazione tra persone.

Mi va di raccontarti qualcuno di questi momenti, mi va di fare una riflessione scritta che è utile per me, ma anche di lasciarla pubblica: chissà che non possa essere di spunto per qualcun altro.

Quel pizzico di fiducia…

Parto a raccontare un ricordo recente che è uno di quelli che più saldamente rispuntano fuori per la loro carica emotiva.
Mentre ero a seguire una delle classi in cui conduco corsi STEM, mi sono fermata a constatare che uno dei lavori non aveva la forma che mi sarei aspettata. Ho intuito perché: si trattava di un oggetto da disegnare in un software di modellazione 3D e probabilmente i due ragazzi in questione stavano pensando di disegnarlo in diverse componenti da assemblare. Però mi piace scherzare, quindi mi son fermata a prenderli un po’ in giro chiedendo come mai quel lavoro non sembrasse una casetta – il compito assegnato – ma un… tavolo.
Nella risposta ci hanno messo un “Si fidi, prof! 🙂 ” e io ho ovviamente risposto che mi fido di loro. Dico “ovviamente”, ma questa dichiarazione così tanto ovvia poi non è. I ragazzi mi hanno detto che in due anni (sono al secondo anno di liceo) nessuno glielo ha mai detto. È seguita grande commozione di tutti e tre e due chiacchiere sull’ultima volta che qualcuno ha espresso fiducia nei loro confronti.

Ora, non sono un’ingenua. La fiducia è qualcosa che va conquistata e che tra l’altro è facile da perdere. Oddio altro che ingenua, forse sono persino un po’ cinica. Inoltre lo so che io faccio un mestiere bellissimo nelle scuole: sono esperta esterna, in quanto tale posso permettermi di odiare le lezioni frontali. Non spiego (quasi) mai, non sto (stiamo) seduti. Non stiamo in silenzio, a meno che non sia davvero indispensabile.
Sento di potermi permettere di sacrificare il rigore nella condotta in favore della costruzione di una relazione con le mie classi. L’obiettivo è nutrire quelle cosiddette soft skill che sono tanto chiacchierate negli ultimi anni (decenni ormai). Insomma, so che per me è più facile esplicitare che do fiducia alle mie studentesse e ai miei studenti, ma la fiducia è reale. La fiducia inoltre fa crescere. In generale a qualsiasi età, ma tanto più quando è accordata a gente giovane.

Una risposta che a me sembrava ovvia e naturale, così scontata non lo era, alla fine.
Per il futuro mi riprometto di non dimenticare questa lezione. Educare le mie classi a comportarsi in maniera tale da poter dare loro fiducia, e dire loro che mi fido.

Spontaneità contro Formalità

Un altro dei miei ricordi preferiti mi vede in un ruolo completamente diverso, con un fruitore in tutto e per tutto agli antipodi rispetto ai miei studenti e studentesse.

Mesi fa avevo il piacere di essere una guida in una mostra di arte e scienza. Per te che leggi, se non ci conosciamo di persona e non sei di Bologna, una mostra di arte e scienza sembrerà forse una cosa un po’ particolare… Ma io, noi in città più in generale, ci siamo abituati. C’è una fondazione con cui collaboro da 13 anni che ne produce di interessanti. Sono un po’ la sua firma e l’espressione della visione del suo fondatore.

In mostra un giorno ho avuto un distinto signore che – tiro a indovinare sperando di non sbagliare troppo – come età poteva essere il nonno dei miei studenti. Il distinto signore è membro della fondazione che ha ideato la mostra.
Ora, etichetta vuole che ci sia una certa formalità quando fai lavori di questo tipo. Ma caso vuole anche che io abbia una fortissima allergia alla forma, in favore della sostanza. Però, di nuovo, non sono ingenua, quindi mi adeguo a quello che da me è richiesto.
Mentre faccio questo amabile giro con l’amabile distinto signore, arrivo in fondo e chiacchieriamo di una certa visione del futuro riportata in mostra tramite un’intervista ad un professore. Dalla naturale evoluzione della conversazione, si è materializzata nella mia testa la battuta “questa prospettiva mi ricorda molto i Borg”, ma… potevo fare questa battuta?

Quando fai comunicazione hai la fissazione del target: a chi sto parlando? che competenze ha? se uso questo termine riesco a farmi capire? sto sottostimando le conoscenze riguardo questo tema del mio interlocutore? Questa persona sa chi sono i Borg??? 😆

Però è anche vero che l’esperienza ti porta a stimare quando puoi permetterti la battuta pop in contesto formale. In questo caso, dopo un’ora di giro molto garbato ed educato e abbastanza formale, mi son permessa di fare il riferimento a Star Trek. Il mio interlocutore non solo sapeva di cosa parlassi, ma concordava con me: ottimo!

Ora, il sottotitolo che introduce questo episodio è un po’ fuorviante. Ammetterai che non c’è nulla di spontaneo nel riflettere in due millisecondi sul fare o meno un riferimento pop mentre stai facendo un lavoro ad alto indice di formalità. Ma queste circostanze erano semplici. Un posto dove c’eravamo solo io e il mio interlocutore, tutto molto silenzioso, elegante e rilassato.
Quando per ore devi reggere un pubblico di centinaia di persone è tutto più caotico, frenetico: tenere salde lì le formalità più affettate è uno sforzo di tutt’altra categoria. Diciamo che la mia personale riflessione tra spontaneità e formalità è sempre attiva in una regione del cervello, da decenni.

Per il futuro porto con me questa riflessione: un (ponderato) atto “spontaneo” è concesso in mezzo alla formalità. Ti sembrerà la scoperta dell’acqua calda, ma per me che sono un piccolo vulcano in continua eruzione con troppa energia da incanalare, saper dosare la spontaneità è una grande conquista.

Divulgazione “di strada”

Di nuovo un salto in mezzo a luoghi, persone, contesto e ruolo completamente diversi dai precedenti.

A novembre c’è stata una grandissima festa per la divulgazione scientifica organizzata da due associazione ai loro primi 10 anni di vita. Mi hanno invitato a proporre un banchetto di divulgazione scientifica nella piazza coperta della principale biblioteca di Bologna.
Argomento a piacere. Parlare di astronomia senza planetari e telescopi è un po’ riduttivo in un contesto di piazza, allora vado sul secondo tema preferito: ottica.

Erano anni che non parlavo da un banchetto in piazza. Sono momenti di divulgazione dura e pura. Non mi ricordavo già più la sensazione e non mi ricordavo quanto mi piace. Proprio uno di quei contesti caotici e frenetici e chiassosi di cui parlavo prima.
Che poi, a ben guardare, il tono caotico e frenetico glielo do io. È la persona che parla che impone il ritmo, gestendo il tono e il volume della voce, le pause strategiche, la mimica nel volto e lo spazio occupato gesticolando.

Ah, quanto ho gesticolato quel pomeriggio!
Foto di Francesca Nigro.

Saper ottenere l’attenzione di una classe e quella di un pubblico sono capacità completamente differenti. La prima può (e dovrebbe, secondo me) beneficiare della seconda, ma poche persone hanno la fortuna di poter allenare entrambe nel corso della vita.
Immagina di essere in una piazza da cui passano centinaia di persone, ma tutte con un obiettivo preciso, o un appuntamento verso cui dirigersi. Tu sei lì che competi con il loro programma, e ad esso strappi quelle persone impegnate in altro, le attiri a te, le incuriosisci e le affascini. Quel che basta perché restino a farti compagnia per un po’.

Nell’elaborare il preventivo con la proposta di attività per questa occasione, con un semplice uso di consapevolezza personale, mi ero arresa alla mia incapacità di fare pause quando parlo al pubblico.
Avevo promesso 4 ore di divulgazione a ciclo continuo. E infatti così è stato. D’altra parte, quando sei con un banchetto pieno di oggetti che solo apparentemente non c’entrano nulla l’uno con l’altro e vedi la gente curiosa avvicinarsi, come fai a stare ferma e in silenzio in attesa di un eventuale prossimo turno? Il prossimo turno parte appena anche una sola persona si avvicina a te!

Per il futuro da questo evento mi porto il piacere di parlare ad un pubblico, di mostrare che si può affascinare parlando di angoli di rifrazione e fibre ottiche, di indice di rifrazione e oggetti che “spariscono”, di promozioni elettroniche e rimedi contro la malaria. E inoltre mi porto dietro uno dei migliori complimenti, scritto come messaggio su un post it appeso alle mie spalle durante l’evento: «Wonder Girl!», mi hanno scritto. Grazie persona sconosciuta.

A quanto pare sono ipnotica…

A proposito di complimenti… Lo scorso maggio mi hanno detto qualcosa che io leggo come complimento: mi hanno detto che sono ipnotica. Tu lo vedresti come complimento?

Eravamo ad uno degli eventi finali di un progetto che abbiamo seguito con la mia cooperativa tra il 2022 e il 2023. Avevamo previsto un planetario gonfiabile e io ho avuto modo di fare qualche giro come planetarista.
Per un’astronoma divulgatrice niente batte la possibilità di condurre uno spettacolo di planetario. Sei in una cupola con la possibilità di richiamare all’istante la simulazione di un cielo qualsiasi, in un momento qualsiasi, da qualsiasi punto di vista sulla Terra e persino oltre: da qualsiasi pianeta del sistema solare. Oppure puoi richiamare dei video elaborati apposta per spettacoli di planetario, immersivi e mozzafiato, per rispondere alla domanda di qualcuno dei presenti col supporto delle immagini a corredo delle tue spiegazioni.

planetarista in uno spettacolo di planetario
La vera espressione di un’astronoma-divulgatrice: gli spettacoli in un planetario.
Foto di Ana Liza Serra.

La collega con cui abbiamo collaborato al progetto e che aveva già seguito altre volte il mio spettacolo, si era affacciata in cupola all’inizio di uno dei turni per fare qualche foto, ma si era poi attardata ad uscire. Una volta terminato quel giro e accompagnati fuori i partecipanti, ho rincrociato la collega. Mi diceva di aver perso la nozione del tempo e di aver tardato ad un appuntamento preso lì di fianco, fuori dalla cupola, perché io sono «proprio ipnotica». 🙂

Dato il contesto, come trovi il commento? Io lo trovo uno dei migliori complimenti mai ricevuti. Anche se fosse stato fatto con estrema leggerezza, a me piace lo stesso!
E non credo che sia tutto merito mio, perché l’astronomia – innanzitutto –, ma anche la cupola e il proiettore, con tutte quelle simulazioni e video, sono molta parte del potere ipnotico che mi è stato attribuito.

Però che bello immaginare di essere in grado di affascinare la gente al punto da far perdere loro la percezione del tempo, anche se solo per quell’oretta, parlando delle cose che più ami al mondo. O, probabilmente, proprio perché parli delle cose che più ami.

Per il futuro conserverò questa sensazione, l’idea di poter far viaggiare con la mente le persone ospiti dei miei spettacoli: utilissima quando per raggiungere i luoghi che accoglieranno il planetario itinerante dovrò alzarmi prestissimo al mattino!

Ma allora quel che faccio serve davvero!

Ultimo ricordo, di molti ancora che potrei raccontare. Ma non voglio abusare del mio tempo e, soprattutto, del tuo, se stai leggendo tutto.

Ancora una volta, contesto diverso dai precedenti. Affine forse al primo, poiché di ambito scolastico. Così, per chiudere il cerchio.
Lo scorso settembre ero a Ozzano, in provincia di Bologna, per un corso di formazione per insegnanti. Parlavamo, insieme a due colleghi, di programmazione, coding e robotica educativa ad un gruppo di oltre 40 docenti.
I miei colleghi ed io ci siamo impegnati col solito spirito e il solito piacere, in un paio di torride giornate che avevano in pieno le temperature dell’estate.
L’ultimo appuntamento era a fine mese, online.

Una docente che aveva partecipato, nella fase finale, ha preso a parola per un saluto.
Ci ha detto che nel lavoro di gruppo portato avanti con le sue colleghe si era sentita inizialmente un di più, «il gruppo di 10 lo percepivo come un gruppo di 9 più una». Alla fine però, grazie alla nostra disponibilità e pazienza, – diceva – aveva finalmente raggiunto al sensazione di essere veramente parte di quel gruppo che lavorava su coding e robotica: era anche lei parte dei 10.

Va be’, non te lo sto ad esplicitare più di tanto: io e la mia collega super commosse. Quando il lavoro è pesante, le cose da fare tante e concitate, quando ti sembra di non aver dato il massimo perché sei stanca o sovraccarica, queste sono le parole che ti fanno tornare il sorriso. La conferma che quello che fai serve. Che come lo fai, serve.
Grazie cara partecipante al corso.

Per il futuro terrò a portata di mano la sensazione di essere stata utile a qualcuno, che sono sicura sarà in grado di risollevarmi da ogni difficoltà.


Eccomi alla fine del giro. Il filo rosso che nominavo in cima e forse ti ho fatto un po’ perdere, portandoti dalle aule scolastiche alle mostre di arte e scienza, dalla divulgazione in piazza allo spazio immaginato in una cupola, è il filo che tesse le relazioni.
Comunicare dopotutto parte da lì, dal mettersi in relazione con il tuo interlocutore.
Ogni frase è una crasi di passione per quel che racconti, attenzione alla/e persona/e che hai di fronte e gestione della voce e del corpo. Una danza fatta di parole e di ascolto, che come obiettivo ha materializzare nelle teste di altre persone quello che tu vedi e costruisci nella tua.

Il 2023 visto da qui sembra sia stato un buon anno.
Spero che lo stesso si potrà dire del 2024.

Se mi hai seguito fin qui, grazie di cuore. Coinvolgere tramite la scrittura è dieci volte più difficile che farlo di persona a voce.
Buon anno a te, che sia ricco di persone, posti, gioie. 🥂


Immagine di copertina: Ian Schneider su Unsplash


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